Un singolare ritrovamento presso le mura della rocca.

Nel 2015 un insolito ritrovamento presso le mura della rocca, documenta la sopravvivenza di ritualità e simbologie antiche in epoca medievale.

La cima del monte Tuscolo -dove oggi svetta la grande croce in tubi d’acciaio- è il sito che, in epoca protostorica, ospitò il primo insediamento stabile dell’area. Trasformatasi in sede di edifici sacri dopo che, a partire dal VI secolo a.C. l’abitato si estese nel più vasto pianoro sottostante, la rocca tornò ad essere occupata da insediamenti abitativi stabili ed organizzati in epoca post classica, in concomitanza con l’incastellamento documentato dalle fonti storiche coeve.
Fra l’XI e il XII secolo d.C. è documentato anche un sostanziale recupero e rimaneggiamento del circuito murario originario, la cui fondazione risaliva all’epoca repubblicana, e che nei secoli aveva contribuito ad alimentare il mito dell’inespugnabilità di Tusculum.

La ricostruzione del tracciato del circuito murario difensivo di epoca romana e medievale è stato uno degli obiettivi prioritari del progetto di ricerca archeologica che la EEHAR-CSIC ha condotto tra il 2012 e il 2018 ed è proprio nell’ambito delle indagini legate a quella fase del progetto “Tusculum”, che è avvenuto un insolito ritrovamento.
Nel 2015, sotto un tratto di mura riportate alla luce nel lato orientale dell’acropoli, a quasi 2 m di profondità, gli archeologi spagnoli hanno infatti rinvenuto un’olla in acroma da fuoco intera, completa dell’originario contenuto e con vicino gli scheletri di due uccelli, una moneta di difficile identificazione e un sigillo plumbeo di papa Alessandro III (1159-1181), in eccezionale stato di conservazione.

Acino di uva rinvenuto nell’olla medievale (foto EEHAR-CSIC)

Le analisi archeobotaniche hanno permesso di identificare i resti vegetali contenuti nell’olla. Si tratta di semi di fico, acini d’uva interi, frammenti di acini e piccoli frammenti dei frutti stessi, molto diffusi in Italia fin dall’epoca preistorica e ben documentati a Tusculum sia in epoca romana che medievale. All’interno del recipiente anche semi di piante silvestri e resti di vertebre, squame e lische di pesce, probabilmente d’acqua dolce.

Accanto i due scheletri di uccelli, pressochè completi e in buono stato di conservazione, sono stati identificati come un gallo e una gallina. Gli animali sarebbero stati uccisi e deposti accanto all’olla senza alcuna lavorazione culinaria, escludendo quindi la possibilità che si tratti di scarti alimentari.

Mentre della moneta non è stata data un’identificazione certa, anche se con ogni probabilità si tratta di un denaro enriciano, la bolla plumbea è perfettamente leggibile: presenta in un lato la raffigurazione dei volti dei Santi Piero e Paolo e nell’altro, il nome del pontefice Alessandro III Bandinelli che a Tuscolo soggiornò per lungo tempo. Caduto il casato dei Conti di Tuscolo, dopo averne acquisita l’intera proprietà, il pontefice si trasferì infatti a Tusculum con tutta la curia per 26 mesi consecutivi, dall’ottobre 1170 al gennaio 1173, tornandovi spesso e per lunghi periodi anche in seguito.

Un altro esemplare del medesimo sigillo è stato recuperato fuori contesto, lungo il sentiero che conduce alla rocca ed è attualmente conservato presso il Museo della Città di Monte Porzio Catone. Numerosi altri, sono poi conservati nei medaglieri statali e nelle collezioni private inglesi, a testimoniare l’ampia diffusione su tutto il territorio europeo dei documenti ufficiali del Pontefice senese, dai quali venne asportato anche questo sigillo.

I ricercatori spagnoli hanno da subito escluso che la presenza di reperti così singolari e variegati fosse frutto del caso, avanzando invece l’ipotesi che si trattasse di un deposito rituale, legato proprio al rifacimento del più tardo tratto della cinta difensiva della rocca tuscolana.

L’assenza di ritrovamenti simili a quello di Tusculum non ne ha tuttavia agevolato l’interpretazione.
Se infatti, la deposizione di monete nelle fondamenta degli edifici era usuale in antichità –seppur scarsamente documentata in epoca medievale- la concomitante deposizione anche di un sigillo papale, rappresenta al momento un caso unico.

Ancora più anomala la simultanea presenza di resti biologici, riconducibili ad un pasto rituale o ad un’offerta sacrificale. A dare forza a questa ipotesi, proprio la mancanza di segni di macellazione sui resti dei gallinacei ma anche la presenza di frutti interi, secondo una pratica rituale nota per l’epoca romana, ma ancora da indagare per il medioevo.

Verso del sigillo di Papa Alessandro III Bandinelli (foto EEHAR-CSIC)

Il deposito rappresenta in ogni caso, un significativo elemento per la datazione, seppur senza certezza, del rifacimento delle mura. È infatti ipotizzabile che l’olla sia stata interrata dopo la morte di Alessandro III (utilizzando quindi un sigillo non più in corso di validità) contestualmente al riacuirsi della resistenza tuscolana nei confronti di Roma del 1183 e verosimilmente in estate inoltrata, quando giungono a maturazione i fichi e l’uva, rinvenuti nel contenitore. Ed è proprio durante l’estate del 1183 che l’esercito inviato da Federico Barbarossa, sotto la guida dell’Arcivescovo Cristiano di Magonza, raggiunge la città, stremata dall’assedio dei Romani.

È difficile conoscere le ragioni del ricorso ad una tale ritualità, mentre è certa l’importanza – anche simbolica – che le mura ebbero per la città nella sua ultima, travagliata, fase di vita, fino alla definitiva distruzione del 1191. Per questo il deposito potrebbe anche rappresentare l’estrema e disperata richiesta di aiuto di una comunità che, di fronte alla minaccia del Senato Romano, si apprestava a resistere, innalzando mura e fortificazioni, ma anche ingraziandosi il Cielo con manifestazioni di religiosità popolare, delle quali a noi oggi sfugge la piena portata.

Per approfondire:
Valeria Beolchini ed altri, Il circuito murario medievale di Tusculum: un rito di fondazione di XII secolo in Temporis Signa. Archeologia della tarda antichità e del medioevo, XI, 2016, pag. 21